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di Chiara Mazzetti


Al giorno d’oggi questa domanda non ha più una risposta così scontata. Moltissime donne ormai vivono la gravidanza come una malattia. Perché dico questo? Perché tutte le donne che ho conosciuto in questi ultimi anni non hanno partorito, ma sono state ricoverate e hanno subito un’operazione per far venire al mondo i propri bambini. In Italia il cesareo è prassi, è la norma, tanto che chi cerca il parto naturale viene additato come strano, come sprovveduto, che fa correre un rischio inutile ai propri figli. Le donne italiane subiscono la cosiddetta violenza ostetrica, che non è altro che violenza psicologica: “sei troppo vecchia per fare un parto naturale”, “facciamo il cesareo, tanto il bambino non si gira” oppure “il bambino è troppo grande”; perché non possiamo più partorire a 40 anni? Perché non possiamo più partorire un bambino di tre chili e mezzo? E se miracolosamente riusciamo a ottenere un parto “spontaneo”, saremo vittime di migliaia di interventi che minano la sua naturale progressione: scollamento, induzione, rottura artificiale delle acque sono solo le più frequenti. Ma una volta nati? Neanche a quel punto i nostri bambini vengono lasciati stare: tutti i bambini, o quasi, per prassi, sono messi in incubatrice, sotto le lampade per prevenire l’ittero, e alcuni vengono ancor più traumatizzati: si vociferano sedativi nel latte artificiale dato nei nidi degli ospedali, donne che vengono traumatizzate per convincerle a non dare il loro latte materno (“lo stai affamando”, “le prime 24 ore non c’è bisogno che lo allatti”, “dai il latte artificiale, così fa più cacca e l’ittero va via prima”).

Come possiamo fare per uscire da questo buco nero? Noi abbiamo trovato un’unica soluzione: la nostra piccola Sofia è nata in casa, senza traumi, senza lampade, senza latte artificiale, senza interferenze. Siamo stati additati come pazzi, accusati di rischiare la vita di nostra figlia perché lontani dall’ospedale (che si trova da noi a meno di 1 km); e invece è possibile ritrovare la naturalezza del parto. Le donne normalmente sono costrette su un lettino, a soffrire per il dolore, costrette all’immobilità perché attaccate a un congegno che controlla il battito fetale; terrorizzate da ciò che potrebbero sentire, si “anestetizzano” con l’epidurale. Il mio parto invece non è stato doloroso, traumatico: ero seduta ai piedi del mio letto, tre ostetriche vicino a tranquillizzarmi, di fianco, lasciandomi fare da sola. Libera di accucciarmi, mettermi a quattro zampe, con mio marito seduto dietro di me che mi teneva sotto le ascelle. Nessun aggeggio elettronico a mettermi ansia; solo un piccolo doppler fetale portatile, ogni tanto, per sentire il battito della mia bambina; ogni tanto, non perennemente. La bambina non è stata tirata per le spalle, ma è uscita da me con le sole sue forze; non è stata lavata, non è stata pesata se non dopo 2-3 ore. Sofia è nata alle 11.00 ed è rimasta letteralmente attaccata alla sua mamma fino alle 13.00: è a quell’ora che il cordone è stato tagliato, circa un’ora dopo l’espulsione della placenta. E nessuno l’ha portata fuori dalla stanza in cui è nata: dopo il controllo sulla bilancia, è tornata sul lettone ed è rimasta vicino ai suoi genitori, senza scendere mai per le sue prime 24 ore di vita. Al posto della lampada, la luce solare, filtrata dai vetri della finestra del salone, le hanno permesso nella prima settimana di vita di prevenire l’ittero; nessuno ha cercato di farle prendere latte artificiale, né dato altri farmaci o integratori al di fuori della vitamina K.

Ora, perché raccontare tutto questo, così nei minimi dettagli? Perché moltissime donne non sanno che tutte queste cose sono possibili; neanche se le immaginano. La propaganda distrugge il nostro diritto alla naturalezza. Un esempio perfetto è ciò che ho scoperto poco prima di partorire, sulla conservazione delle cellule staminali: ho chiesto alla mia ostetrica di conservare tali cellule, per la salute futura di mia figlia; lei mi ha risposto: “perché vuoi toglierle queste cellule?” e io “che cosa intendi?”; e lì, la rivelazione. Mi ha spiegato che per prelevare le cellule staminali bisogna tagliare il cordone entro i primi 2-3 minuti dalla nascita, altrimenti si “svuota” troppo e non c’è più possibilità di prelevarle. Ebbene, se avessi fatto così avrei impedito a mia figlia di assorbire quelle cellule nel suo corpicino, perché invece, avendo tagliato il cordone così tardi, quelle buonissime cellule sono entrate in circolo tutte dentro di lei e l’aiuteranno ad avere un sistema immunitario più forte e sano.

Purtroppo, come dicevamo, non è così semplice scegliere di partorire secondo natura, e quasi impossibile avere la forza di partorire in casa: tutti ti remano contro, nessuno ti aiuta, bisogna armarsi di coraggio e andare avanti da soli. Il più grande intoppo, il mio sangue Rh negativo: se Sofia avesse avuto sangue positivo, entro 72 ore dalla nascita mi avrebbero dovuto somministrare immunoglobuline, per evitare di sviluppare anticorpi verso tale tipo di sangue (cosa estremamente pericolosa per i figli futuri). Questo significava effettuare un’analisi sul sangue cordonale di Sofia, chiaramente entro le fatidiche 72 ore; in ospedale, un gioco da ragazzi; in casa, tutto un altro paio di maniche. I laboratori privati si rifiutano di prendersi la responsabilità, perché la bambina non ha ancora il codice fiscale (la legge prevede che sia sufficiente un certificato dell’ostetrica, ma loro si rifiutano ugualmente); la croce rossa italiana centrale di Roma mi ha risposto con queste precise parole: “signora, è un suo problema se vuole mettere a rischio la bambina e partorire a casa, non un problema nostro; noi non lo facciamo”. Quindi, nonostante il parto domiciliare sia previsto dalla legge italiana, è fortemente ostacolato; addirittura, si prevedono 800€ di sovvenzioni statali nel Lazio, ma il dipendente dell’Asl si è lasciato scappare che devono ancora pagare tutti i parti dal 2012 a oggi!

Insomma, questa è la realtà in Italia, ma possiamo cambiarla, con la conoscenza, con la forza, con la ricerca della naturalezza, per il bene dei nostri figli, che non nascano già con sulle spalle i dolori di questo mondo marcio.





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